La precisione non è solo una regola assoluta di qualsiasi forma di scrittura consapevole, per cui ad esempio è sempre meglio dire “un avocado” piuttosto che il generico “un frutto”, gioia “vaporosa” (cit. Sorrentino) piuttosto che gioia “inattesa”, che suona come tipica associazione mentale molto pigra.

Italo Calvino

Italo Calvino

L’imprecisione è qualcosa di più: è la mancanza di esattezza nel quotidiano, la faciloneria, l’indolenza, la pigrizia, il non prendere posizione spesso per codardia, il discorso generico e fumoso che non porta da nessuna parte. Tranne sempre più in basso, come è successo all’Italia degli ultimi decenni, che a suon di sciatteria è scivolata lungo un piano inclinato senza far rumore.

Ci sono parole, entrate nell’uso quotidiano, che indispongono: per esempio “aggiorniamoci”, io quando la sento mi “arricciolo” dentro, perché è un modo vago e indefinito, vigliacco e un po’ spocchioso, per dire cose che non si ha il coraggio di dire.

Ecco un dialogo classico.

A – “Ci vediamo stasera?

B – “Scusa non posso, aggiorniamoci”.

Gelo di A, che non capisce il senso e finisce per rimuginarci per ore.

Aggiorniamoci= vorrei che tu non me lo chiedessi più, ma visto che non ho il coraggio per dirtelo con una doverosa precisione definitiva, preferisco lasciarti in un senso di vago e confuso turbamento proponendoti di sentirci un giorno del poi o del mai, con la speranza che tu te lo dimentichi.

Lo ha ricordato Calvino nelle sue famose Lezioni Americane, di cui una dedicata proprio all’esattezza: Giacomo Leopardi quando definiva il concetto di “vago” nello Zibaldone era molto preciso.

Chissà cosa avrebbe scritto Leopardi sul concetto di “aggiorniamoci”.

 

Articolo di Francesco Mencacci (direttore didattico Scuola Carver)