David Foster Wallace (dieci anni oggi, senza di lui), per venti anni, nei suoi libri, si è preoccupato di dire la verità sulla condizione umana, anche se questa verità è dolorosa, anche se non la vogliamo ascoltare e digerire, sempre e comunque la cruda, specchiata, onesta verità.

Credeva fortemente nel fatto inconfutabile che la buona letteratura non ci dice solo cose confortevoli, non può e non deve essere come uno zuccherino che causa un picco glicemico, e che dopo due ore ci fa sentire peggio di prima, come molta pessima letteratura che rimuove sistematicamente la verità.

Se siamo fortunati – ci ricorda Raymond Carverfiniremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio”, e “la temperatura corporea sarà salita, o scesa, di un grado”, perché la buona letteratura ci fa un po’ ammalare, anche se è una malattia che rafforza le difese, e che ci sbatte in faccia “cosa vuol dire essere un cazzo di essere umano”.